La soluzione è fare schifo

Clockwork
5 min readMay 13, 2020

Nelle ultime settimane, in seguito all’annuncio di PG Esports dell’uscita di scena di Qlash Forge e MOBA ROG, il dibattito è infiammato riguardo all’attuale situazione del panorama di League of Legends (non di tutto l’esport, per chiarezza). Varie figure di ogni ruolo hanno espresso i loro punti di vista, dai giocatori agli ufficiali di torneo, dai giornalisti ai coach, dai caster ai team owner. Insomma tutti parlano, chi preoccupato chi meno, chi in modo proattivo e chi solamente puntando il dito, ma l’importante è che una discussione esista e che chiunque sia coinvolto.

Personalmente mi collocherei, purtroppo, nella seconda categoria, di quelli che puntano solo il dito: non sono in una posizione le cui decisioni possono cambiare le carte in tavola. L’unica soluzione che ho trovato è la seguente: cambiare la mentalità e forzare un distacco dall’immagine che percepiamo della nostra lega. In breve: arrendersi all’idea che sostenibilità economica e livello competitivo delle squadre, nella condizione attuale e probabilmente anche futura, si escludono a vicenda. Se vogliamo un panorama sostenibile dobbiamo accontentarci di fare schifo, o rimboccarci le maniche.

Cercherò di spiegare il mio punto di vista.

Una lega (sportiva o esportiva) si compone di tante figure (idealmente) professionali che ricoprono vari ruoli più o meno tecnici, ma in sostanza in un ecosistema ideale (secondo la mia visione) deve esserci equilibrio fra tre parti: i giocatori, le squadre e il tournament organizer (TO). Quando le parti sono tutte soddisfatte si ha un ecosistema sano e competitivo come LEC; quando una di queste parti ha troppa o troppa poca influenza, l’equilibrio cessa di esistere e la sopravvivenza della lega è messa in discussione. Quindi mi sono chiesto: quale può essere un compromesso che può accontentare tutte le parti e le loro richieste?

Cosa vogliono i giocatori

In questo schema, i giocatori sono la base della piramide, nel duplice senso di parte con meno autorità ma anche come base dell’intera struttura. Le richieste di un player si possono riassumere generalmente in:

  • Competere: vuoi per orgoglio, vuoi per fama, tutti i giocatori italiani vogliono competere, mettersi alla prova con avversari al loro livello (o inferiore) e migliorare.
  • Visibilità: l’unico valore effettivo che le competizioni italiane offrono al giocatore è lo spotlight; disputare partite ufficiali nella speranza di essere notati da qualche squadra estera con l’ambizione di accedere a LEC o a leghe maggiori.
  • Compenso adeguato: allenarsi richiede tempo e non tutti i giocatori possono allenarsi a tempo pieno per questioni economiche. Ad un impegno full-time deve corrispondere uno stipendio dignitoso (inserire paragone con operatore di un call center), così come ad un impegno parziale può corrispondere una paga inferiore. L’importante è l’equilibrio tra tempo investito e compenso ricevuto.

Converrete con me che queste richieste, dal punto di vista di un giocatore, non sono affatto assurde ma anzi il requisito minimo per competere in modo sostenibile; a questo livello non considero nemmeno brand personali o forniture hardware.

Cosa vogliono le squadre

  • Ritorno economico: come ogni azienda, il cuore della loro partecipazione sta nell’investire nella speranza di ricevere, in futuro, un ritorno. Questo può avvenire tramite TO, sponsor o buyout di contratti.
  • Visibilità: come per i giocatori, mettersi in mostra è cruciale per le squadre: costruire una fanbase e pubblicare contenuti attraggono sponsor che aiutano ad alleggerire la pressione economica.
  • Vincere: fino al 2019, le squadre hanno costruito rose con l’obiettivo di vincere la competizione ed accedere ad EU Masters. In Spring 2020 e anche nel prossimo split, alcune squadre hanno dichiaratamente abbandonato questo obiettivo.

Cosa vuole il TO

  • Ritorno economico: il TO è anch’esso un’azienda, quindi risponde agli stessi principi sopra citati per le squadre.
  • Team cooperativi: essenziale per un ecosistema stabile è cooperazione tra le parti, anche semplicemente per assicurarsi la partecipazione continuata al campionato.
  • Fanbase: un campionato non ha significato senza spettatori, i quali gli permettono di accedere a sponsor di qualità.

Lo scenario roseo in cui tutte le tre parti sono soddisfatte è quello di prosperità economica: il TO e le squadre hanno sufficienti introiti da migliorare la produzione e ingaggiare giocatori più forti, rendendo il campionato più emozionante e prestigioso, dando contemporaneamente motivo agli aspiranti giocatori di dare il 100% per accedere alla competizione e fare di essa una carriera propriamente detta. Questo, non c’è bisogno che ve lo dica, non è il caso italiano: dato che il ritorno economico è minimo sia per il TO che per le squadre (supporto ridotto + pochi sponsor + contratti corti + assenza di montepremi), l’unico modo che ha una squadra di rimanere a galla è annullare le spese e accontentarsi di partecipare.

Esistono secondo me altri due scenari, che però fa storcere il naso: rassegnarsi o rimboccarsi le maniche.

Rassegnarsi

Rassegnarsi significa abbandonare l’orgoglio e abbassare il livello, dove con livello non intendo la qualità delle partite ma da “professionale” a puramente amatoriale. Squadre che investono poco e assumono solo i giocatori che accettano di farsi pagare poco (rookie alle prime armi e import di basso livello), ma senza la pretesa di farli allenare quotidianamente; in poche parole, una competizione per hobby, for fun, non dissimile dai tornei della Piazza, dove compete chi ha voglia e tempo e di certo non si pensa ad un’eventuale carriera.

A nessuno piace abbandonare l’idea di diventare grandi, di potersela giocare coi nomi noti dell’esport come SK, Gamers Origin o Excel, di raggiungere i numeri, la fama e il prestigio di Spagna e Germania. Ma la dura verità (e ce l’ha insegnato questo biennio 2019–20) è che lo scenario economico e/o le realtà coinvolte ancora non permettono la costruzione di un ecosistema del genere. Non nell’immediato.

Rimboccarsi le maniche

C’è un esempio virtuoso in questo scenario: Prime League. Fino al 2018 la scena competitiva tedesca era paragonabile a quella italiana: tanti tornei diversi che si pestavano i piedi, squadre senza obiettivi chiari, giocatori locali non eccellenti e NoWay (il Paolocannone d’oltralpe) che dominava l’audience. Eppure nel corso di due anni squadre e TO sono riusciti a creare un ecosistema florido che porta la competizione ad eccellere (nonostante le performance dell’ultimo EU Masters). E prima che contestiate: non sono le Academy da sole ad aver portato questo cambiamento. È stato uno sforzo collettivo, che andrebbe esaminato e studiato sia dai CEO dei team che dai piani alti dei TO. Serviranno un paio d’anni forse, ma è una soluzione attuabile e percorribile, secondo il mio modesto parere.

Non sono un esperto né tantomeno un catastrofista (forse pessimista a tratti, quello sì), ma mi sembra lampante come questo sia il momento perfetto per agire da parte di chiunque e adoperarsi per raddrizzare il tiro su quello che si è fatto finora.

O anche non agire, basta poi non lamentarsi delle conseguenze.

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